Discussa e dibattuta la tesi sulla genesi di queste affascinanti architetture naturali.
Alcuni studiosi propendono per farla risalire alla notte dei tempi, determinata molto probabilmente da fenomeni naturali legati al periodo in cui, circa due milioni di anni fa la catena appenninica era già formata nei suoi lineamenti principali e dell’orografia attuale mancavano solo la fascia collinare e le aree costiere. Al periodo in cui il Mare Adriatico si estendeva fino ai piedi della catena del Gran Sasso e nei suoi fondali sedimentavano ghiaia e sabbia in prossimità dell’antica linea di costa e argille verso il largo. In quel periodo la formazione della catena appenninica proseguiva lenta e inesorabile e mentre le aree pedemontane si sollevavano fino ad emergere dal mare, la linea di costa si spostava verso est, coprendo i limi e le sabbie finissime, attualmente corrispondenti alle argille plio-pleistoceniche, con strati di particelle più grandi come sabbie e ghiaie oggi divenuti arenarie e conglomerati di tetto.
In seguito, meno di un milione di anni fa la linea di costa era arrivata fino ad Atri. I ciottoli calcarei, trasportati dai fiumi, venivano distribuiti dai grandi delta fluviali lungo le antiche spiagge e legati dall’acqua e dai minerali in essa con- tenuti, ai granuli di sabbia, in quello che sarebbe divenuto in futuro, un unico e poderoso materiale da costruzione, il conglomerato di tetto. Tale materiale è ancora oggi osservabile insieme alle sabbie, nelle falesie di Colle della Giustizia, nella località che non a caso è chiamata “le Piaje”, all’interno delle Grotte di Atri, nei blocchi squadrati di puddinga, come son soliti chiamare questo materiale gli archeologi, utilizzati per la costruzione di importanti edifici storici della città (Cattedrale, Palazzo Ducale, cisterne romane etc…).
Con il sollevamento orogenetico di Atri alle quote attuali (oltre 460 m.s.l.m.), si sono instaurati fenomeni erosivi e crolli. I terreni umicoli sono stati asportati più velocemente e trascinati in mare lungo le profonde valli, mentre i conglomerati, più resistenti, hanno protetto i depositi argillosi sottostanti che, erosi dalle acque, hanno dato vita ai caratteristici colli tipici della fascia collinare abruzzese/marchigiana, su uno dei quali poggia ancora oggi la città di Atri.
Altri collegano la genesi di queste particolari strutture, sia ai succitati ele- menti, ma anche e soprattutto a fattori antropici quali: l’antica pratica degli incendi utilizzata fin dall’antichità per creare nei boschi spazi e ter- reni idonei all’agricoltura e attualmente per “ringiovanire” i prati, ma che contestualmente espone i terreni, non più protetti da copertura vegetale alla forza delle acque; le attività di estrazione di argilla utilizzata per alimentare le numerose fornaci presenti fin dall’epoca pre-romana su tutto il territorio atriano, il sovraccarico di bestiame, in particolare ovini, che frequentavano in gran copia, all’epoca dell’istituzione delle famose poste di Atri e dei Regi Stucchi (Doganella d’Abruzzo 1532-1806), i campi destinati dagli Aragonesi al pascolo del bestiame, che oltre ad eliminare la copertura erbosa creavano con il calpestio e il costipamento dei per- corsi, piccole nicchie di distacco lungo i pendii di versante, per finire con le operazioni di espianto della famosa radice dolce, la liquirizia, lavorata fin dal ‘800 da aziende locali che venivano rifornite da agricoltori locali, che utilizzando per l’estrazione, poderosi aratri da scasso, esponevano ulteriormente alla forza delle acque i terreni più superficiali. Abbiamo elencato solo alcune delle pratiche che, sicuramente, hanno aiutato e velocizzato fenomeni naturali che avrebbero avuto, al contrario, un’evoluzione più lenta.
Commenti