Senza entrare troppo nel particolare possiamo comunque riassumere e generalizzare sostenendo che i calanchi sono un fenomeno geomorfologico erosivo tipico del clima mediterraneo con lunghe estati secche e forti piogge concentrate in determinati periodi dell’anno. Perché si formi un calanco sono necessarie condizioni naturali e antropiche: terreno prevalentemente argilloso ma con una certa percentuale di sabbia, pendenza elevata, esposizione preferibilmente a sud, clima caratterizzato dall’alternarsi di fenomeni temporaleschi e stagioni secche e, naturalmente, assenza di copertura vegetale. Quando viene bagnato dalle piogge, il terreno argilloso si comporta da spugna e le particelle cariche di acqua ingrossandosi fanno diventare il suolo argilloso viscido e facilmente modellabile. Una volta asciugato dal sole, il suolo presenta un aspetto secco e pulverulento con numerose crepe e fessure sulla superficie. Solitamente questo primo strato, a causa della rapida evotraspirazione, si “scolla” dalle pareti e, alle successive piogge, viene preso in carico dalle acque e trascinato sul fondovalle nelle ordinarie colate fangose. Innumerevoli rigagnoli iniziano quindi a formarsi sui terreni e sulle argille e con lo scorrere delle acque si approfondiscono sempre di più, aiutati infine dalla forza di gravità scavano e disegnando un fitto reticolo idrografico in miniatura con vallecole dai fianchi ripidissimi. Le particelle erose, piccole e leggere, ma anche i grossi blocchi staccatisi dai versanti, si accumulano insieme agli innumerevoli fossili contenuti nelle argille, alla base del calanco e da lì vengono trasportati dai corsi d’acqua fino al mare. Nella parte alta, denominata corona, il fenomeno è ancor più percettibile all’osservatore. Avanzando a ritroso infatti, l’erosione produce continue nicchie di distacco sui suoli di margine e successive frane, crolli e colamenti, mettono a nudo lo scheletro argilloso sottostante, innescando la riattivazione e la genesi di neo-fomazioni calanchive denominate localmente, “li ripe” o “li scrimun”, ma che a noi piace chiamare “unghiate del diavolo”.
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